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De Santis: Il respiro del paesaggio

di Milena Moneta

"Non vedi niente lì?" È la domanda che Amleto rivolge alla regina mentre indica il fantasma di suo padre. Ecco la stessa domanda che ha tormentato molti grandi può condensare l'esperienza estetica, che è auscultazione del paesaggio, capacità di cogliere il respiro della realtà e l'anima che la sottende, di spingere lo sguardo oltre la consuetudine ed il quotidiano. L'arte è differenza, è una visione irripetibile di ciò che ci sta intorno, è penetrare l'enigma e gettare un "ponte sull'infinito" così che "tutto ci appare ombra di eternità?". L'espressione è del poeta Campana, citazione è pertinente ora. Del resto lo disse bene di Picasso definì il dipingere "una forma di magia intesa a compiere un'opera di mediazione fra questo mondo estraneo ed ostile e noi" E a metter in comune la sua magia, il suo sguardo per una possibile condivisione stasera abbiamo con noi l'artista Antonio de Santis. Bergamasco di adozione in realtà la sua giovinezza è stata all'insegna dell'erranza: nasce a Venezia, studia a Faenza presso i salesiani è c'è chi ha colto in questo passaggio, mi riferisco al compianto critico Alberico Sala, un segno che lo lega al Campana del taccuinetto faentino, alle sue lacerazioni, all'esplosiva carnalità, ma anche alla visionarietà della sua scrittura: trama di echi e di suggestioni che non è improprio cogliere nella pittura di De Santis dato lo spessore culturale dell'artista. Frequenta l'Università a Milano (Filosofia alla Cattolica), lavora, giovanissimo, presso lo studio di Ermenegildo Rondina a Mestre e questa variegato formazione si traduce anche in una variegata espressività giacché de Santis è anche critico d'arte e scrittore, giornalista per alcune testate, direttore della rivista Terzapagina, che ha anche fondato, autore di numerose pubblicazioni, operatore culturale. Inizia ad esporre dal 1965 partecipando a varie rassegne, allestendo personali in Italia e fuori. Le sue opere sono collocate presso collezioni pubbliche e museali in Italia e all'estero. Documenti sulla sua attività artistica sono raccolti presso l'Archivio della Biennale di Venezia, Archivio storico Arte Contemporanea Museo Bandera di Busto Arsizio, Kunsthistorisches Institute di Firenze. Dopo un periodo figurativo inizia una ricerca nell'ambito della pittura astratta che sfocia nel realismo astratto del 1979 ( Manifesto del Realismo / Astratto) a fondere due differenti stili e ad affidare al colore la struttura e scrittura del quadro. Il realismo gli offre una variegata e inesauribile fonte di ispirazione, ma i quadri nascono dal colore. Sopra di esso aggiunge figure e contorni marcati, a volte deformanti, così che l'immagine arriva solo alla fine e non precede la realizzazione dell'opera, spesso risultata da più piani autonomi che si susseguono raggiungendo una profondità non scontata. Così come il reale si deposita sulla tela per successive selezione, verso una essenzialità che non fuga, non è astrazione, ma proposta che va oltre il realismo e oltre l'astratto, oltre le cose guardate. Ma senza affettazione né maniera: il tutto vibra di naturalezza e apparente semplicità che tuttavia si eleva a metafora e ai simbolo ( si è già detto dello spessore culturale dell'artista), mentre i segni, spesso marcati, dialogano con la contemporanea pittura europea (non si può ignorare la matrice espressionista), ponendo de Santis tra gli autori di maggior interesse nella produzione contemporanea, ma anche con la grande tradizione pittorica italiana. Un lungo soggiorno in Svizzera con le luci di un paesaggio per lui meno consueto nuovo hanno arricchito la sua tavolozza cromatica, affidando a nuovi colori nuove esperienze sensoriali e nuove riflessioni, mentre la sua rappresentazione vibra di emotività e si fa lirica. Il suo è un paesaggio interpretato che trasuda sensazioni, veicola emozioni e dunque si fa poesia. Mentre la figura giustapposta allo spazio, spesso monumentale, dichiara un'indifferenza, un abbandono, una repulsione. Non c'è incontro tra i personaggi, né tra di loro né con il paesaggio: una inconciliabilità di fondo, un'ostilità sottintesa che mantiene le distanze. Così giungono in superficie i drammi e i misteri dell'uomo nel confronto con l'esterno da sé. E le contraddizioni dell'uno e dell'altro - del mondo intendo e dell'uomo, trovano espressività forte, drammatica e al tempo steso poetica. La pittura ancora una volta è sguardo sull'enigma, è renderci amico il mondo, pur con le lacerazioni del nostro vivo La sua è infine anche una scommessa del valore della pittura, del suo vitalismo, della sua rilevante espressività contro l'imperversare della tecnologia. Quasi testimonianza anticipata di quello che Edgar Morin ha previsto peril XXI secolo, secolo della poesia finalmente che si ribella alla prosa e alla dittatura della tecnologia. Ho cominciato il discorso con Shakespeare e vorrei finire con lui, convinta che l'arte forse non ci è indispensabile, ma è sicuramente un bisogno insopprimibile. Mi piace ripetere quanto disse più o meno Re Lear agli dei: "Toglietemi pure il necessario, ma lasciatemi il superfluo". Specie se questo superfluo tra virgolette porta la firma di de Santis.